Linguaggio e pensiero
La lingua che parliamo plasma il nostro modo di pensare?
Lera Boroditsky, studiosa di scienze cognitive, durante questa TED conference del novembre 2017 dimostra, con esempi frutto delle proprie ricerche, come le differenze sintattico-lessicali tra le lingue influenzano il modo di pensare e la percezione dell’individuo.
La comunità aborigena australiana dei Kuuk Thaayorre non utilizza le parole “sinistra” e “destra” e definisce ogni aspetto della quotidianità avvalendosi dei punti cardinali, dallo spazio ai saluti (per dire “ciao” ricorrono all’espressione “Da che parte stai andando?”), senza tralasciare il tempo, determinato dal territorio e non dal corpo (la cronologia viene rappresentata graficamente da est a ovest e non da sinistra a destra, come la nostra scrittura).
Alcune lingue sono prive del tratto linguistico dei numeri, altre diversificano lo spettro dei colori, molte considerano il genere grammaticale (in tedesco il sole è femminile, in spagnolo è maschile, con effetti ben diversi al momento di descrivere la realtà) e distinguono il modo di narrare gli eventi (un inglese e uno spagnolo che hanno assistito allo stesso fatto, ne ricorderanno aspetti diversi, con diverse implicazioni in un’eventuale testimonianza oculare).
La diversità linguistica rispecchia la flessibilità e l’ingegno della mente umana, in grado di creare 7000 universi cognitivi; un patrimonio a rischio, stimando la perdita di una lingua a settimana. Ulteriore dato negativo, le conoscenze della mente e del cervello si basano su indagini di studenti universitari americani, escludendo una vasta fetta della popolazione mondiale.
Quanto descritto è una mia sintesi dell’evento citato in precedenza; chi fosse interessato ad approfondire l’argomento trova a questo link il profilo della studiosa nella pagina della UC San Diego e qui quello su Google Scholar.